sabato 20 aprile 2024
15.01.2015 - Mario Acampa

Il Sup...Ponente: siamo sicuri di volere essere Charlie?

L'attore Mario Acampa, alla luce dei tragici fatti accaduti il 7 gennaio a Parigi, parla della vera essenza della libertà umana come "capacità di scegliere" e "diritto di resistere".

Je suis Justin.

C’è un concetto che a ondate ritorna nelle menti, sui media e sui social.

E’ una bandiera che di solito viene piantata con decisione ogni volta che sentiamo un diritto leso, o che qualcuno mina al nostro modo di vivere, al nostro sistema di pensiero perché poi di sistema si tratta. La Libertà.

Che parola meravigliosa. Siccome siamo liberi, il nostro sistema è libero, i nostri motori di ricerca sono liberi, la nostra informazione è libera e sono solo i terroristi ad attaccare la nostra libertà perché invece noi la difendiamo quotidianamente con i denti, sono andato su internet a cercare su Wikipedia cosa significa libertà e ho trovato questa definizione del (tra le altre cose) filosofo Isaiah Berlin «L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla».

“Capacità di scegliere” e “diritto di resistere”.

Due cose che possiamo rivendicare con forza ma che sottendono a un dettaglio non da poco: l’uso della testa per la capacità di scegliere e il senso del dovere prima di rivendicare un diritto. Ora, il nostro è un paese meraviglioso, ma quanti di noi sono veramente capaci di scegliere e si sentono in dovere di resistere? Noi siamo il “paese-delega”, il paese che lascia fare, il paese che non si sposta, il paese che aspetta dall’alto l’arrivo del salvatore sia esso in politica, in economia, a Sanremo (perché tanto ha tutto lo stesso peso): la persona a cui aggrapparci, a cui dire “comincia tu che poi arrivo anche io”. Renzi a Parigi ha detto che nonostante Italia e Francia abbiano storie diverse adesso sono unite nella lotta contro il terrorismo.

Beh, questo è chiaro e giusto, il terrore non piace a nessuno, persino la parola con tutte queste erre fa paura, ci fa tremare. Ma è vero, le storie sono diverse. La Francia ha lavorato sulla multietnicità molto prima di noi, la Francia è un paese laico non solo sulla carta, la Francia ha un giornale satirico per davvero, da noi Giorgio Forattini per una vignetta nel 1999 è stato denunciato con una richiesta di risarcimento di 3 miliardi. E adesso? Siamo un paese di Charlie. Solo che io, purtroppo, non ho mai avuto il piacere di conoscerne nemmeno uno. Il nostro Charlie è un fashion blogger che posta una selfie in palestra nudo con scritto “Je suis Charlie”. Il nostro Charlie è Salvini con la felpa che dice di fermare il trattato di Schengen e cioè impedire a 400 milioni di cittadini europei di circolare liberamente all’interno delle frontiere comuni. Il nostro Charlie è Simona Vicari, che no, non è la signora del piano di sotto, è il Sottosegretario allo sviluppo economico (vi prego, rileggete l’incarico - sottosegretarioallosviluppoeconomico) che trova “irrispettoso per i valori del nostro paese” lo spot di Tiffany con una coppia omosessuale. Irrispettoso? Valori? Spiegatemi, quali valori?

La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e di lavoro non ce n’è e qualcuno ha il coraggio di parlare di valori?

Volete sapere cosa penso? Tanto ve lo dico lo stesso.

Ma noi, siamo proprio sicuri di voler essere Charlie? No, perché essere Charlie non è una cazzata. Non è come guardare Bruno Vespa con la riproduzione del mitra in prima serata. La libertà di essere ciò che siamo è sacrosanta. E sapete cosa? E’ pure giusto che la gente metta l’hashtag #iosonocharlie mentre va in palestra. Va bene tutto, perché tutti cerchiamo qualcuno  da seguire, qualcosa in cui credere, una squadra per cui tifare e alla fine poco importa se la sera ritorniamo a casa a difendere il caricabatterie del nostro i phone più della vita perché abbiamo paura di non essere nient’altro ed è meglio non rischiare di scoprirlo per davvero. Difendiamo la nostra libertà di essere naif, di divertirci e di avere i nostri punti fermi che fermi non sono e chiamiamola libertà così ci riempiamo la bocca. Ma se un giorno scoprissimo, come dice Isaiah Berlin, che siamo inghiottiti in un sistema immenso intimiditi e costretti da noi stessi per paura? Beh, ho come la sensazione che alla fine ci sentiremo tutti un pò come Justin Bieber senza photoshop nello spot per l’intimo di Calvin Klein: con delle belle mutante, ma senza pacco.


Commenti

Nessun commento presente.
Accedi per scrivere un commento

 
Meteo