Stanchi di spalare fango: il dramma dei commercianti di Carcare tra acqua, rabbia e solitudine

Le acque che hanno invaso Carcare nella notte tra il 21 e il 22 settembre non sono state solo un fenomeno meteorologico. Per i commercianti di via Garibaldi, l’ennesima alluvione è stata la conferma di un incubo che si ripete, un ciclo devastante che non sembra avere fine. Fiumi e rii esondati hanno sommerso strade e negozi, portando con sé non solo fango e detriti, ma anche un senso di profonda stanchezza e rassegnazione. Questo ritorno al passato, dopo poche settimane dalle precedenti ondate di maltempo, ha messo in ginocchio piccole attività che, con coraggio e sacrificio, avevano appena ricominciato a sperare. L’alluvione di oggi non è solo un evento eccezionale, ma un trauma ricorrente che si abbatte su chi, ogni volta, deve ripartire da zero.

Il peso morale e i danni invisibili

Al danno economico, tangibile e facilmente calcolabile, si aggiunge un peso morale che è molto più difficile da quantificare. Chi investe tutto il proprio tempo, il proprio denaro e la propria passione in una piccola attività, vede i propri sforzi vanificarsi in poche ore. Il fango non sporca solo le merci e i locali, ma lascia un segno indelebile anche nella mente. Le parole del titolare del Bar Momento, che si definisce “moralmente a terra”, raccontano di un danno invisibile e profondo. È la sensazione di aver perso la battaglia non solo contro le acque, ma contro un destino beffardo e ineluttabile. La speranza nelle assicurazioni è l’ultima ancora di salvezza in una situazione in cui la fiducia e l’ottimismo si dissolvono con l’acqua.

Le voci dei commercianti di Carcare danno un volto umano alla devastazione. Laura, titolare de “L’orto di Laura”, descrive l’acqua che ha raggiunto i 20 centimetri all’interno del negozio, mezzo metro all’esterno. Nonostante i danni siano stati “relativi”, la montagna di lavoro da affrontare è enorme, un’impresa titanica per chi spera di riaprire già nel pomeriggio. Dall’altra parte, il proprietario del Bar Momento si trova ad affrontare una situazione identica a quella di pochi mesi fa, con un’aggravante: aveva appena ristrutturato tutto. I suoi sforzi, i suoi investimenti, sono stati spazzati via, e la sua rabbia è palpabile. Il dramma di queste due attività è il dramma di un intero paese: la lotta quotidiana di chi cerca di resistere e di una forza della natura che non lascia scampo.

La testimonianza del barista contiene un dettaglio che, più di ogni altra cosa, rivela il vero dramma dei commercianti di Carcare: “Siamo tutti a fare polemica, ma nessuno scende ad aprire i tombini”. Questa non è una semplice critica, ma un grido di solitudine. La sua non è solo una lotta contro l’acqua, ma anche contro l’indifferenza. La frase è una denuncia del fatto che, in un momento di estrema necessità, il senso di comunità e la solidarietà sembrano essersi persi. Il tombino, che potrebbe alleggerire la pressione e aiutare a scaricare l’acqua, diventa il simbolo di una promessa non mantenuta, di un aiuto che non è mai arrivato. Il fango che ricopre le strade è anche il simbolo della sporcizia morale di chi si limita a parlare senza agire, lasciando gli altri a spalare in silenzio.

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