Una mattinata di traffico paralizzato ha scosso Genova, ma dietro le code e i rallentamenti si nasconde un messaggio forte e chiaro. Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) ha bloccato l’accesso al porto per protestare contro il transito di armi. L’oggetto della contestazione è stata la nave saudita Bahri Yambu, accusata di trasportare materiale bellico destinato a Paesi del Medio Oriente in conflitto. La protesta, iniziata alle 8 del mattino, ha visto circa un centinaio di lavoratori unire le proprie voci per opporsi a un commercio che considerano immorale, generando al contempo un’inevitabile paralisi per la viabilità cittadina.
La protesta dal porto al cuore della città
La situazione della viabilità genovese è degenerata rapidamente. Con l’accesso ai terminal portuali bloccato, le strade principali della città, da Lungomare Canepa a via Balleydier, sono state congestionate da un traffico intenso. La polizia locale è stata costretta a chiudere la Strada a Mare Guido Rossa in direzione centro e a deviare i mezzi pesanti, nel tentativo di evitare un blocco totale. L’azione dei manifestanti non si è limitata al varco portuale: intorno alle 10, il corteo si è spostato sotto la nave e poi verso la sede della compagnia di navigazione israeliana ZIM, con cori e fumogeni. Questo gesto ha evidenziato come una protesta locale, nata in un singolo porto, possa rapidamente assumere connotati internazionali e avere un impatto diretto sulla vita quotidiana di migliaia di persone.

L’indagine e il paradosso morale
La protesta non è rimasta solo un fatto di cronaca: la Procura di Genova ha aperto un fascicolo d’inchiesta sulla nave Bahri Yambu, basandosi sull’esposto del sindacato USB che ipotizza la violazione della legge 185 del 1990 sul transito di armi. Questo sviluppo aggiunge un peso cruciale alle rivendicazioni dei lavoratori e porta alla luce un paradosso profondo. I portuali, agendo sulla base di una convinzione etica, hanno causato un’interruzione tangibile della pace cittadina per denunciare una guerra lontana. Il loro gesto non è stato un semplice atto simbolico, ma un’azione concreta che ha forzato le autorità a confrontarsi con una questione morale e legale di portata globale, dimostrando che i principi possono avere un costo, sia in termini di disagi che di conseguenze giudiziarie.
Oltre il traffico, un messaggio geopolitico
Il porto di Genova si conferma come una porta non solo per le merci, ma anche per le tensioni geopolitiche globali. La protesta dei lavoratori ha trasformato un’infrastruttura commerciale in un palcoscenico di resistenza. L’episodio ha dimostrato che una piccola comunità, agendo con convinzione, può mettere in discussione catene di approvvigionamento bellico che passano inosservate. L’attenzione mediatica e legale generata dal caso mostra il potere delle azioni dal basso di esporre e sfidare sistemi complessi, sottolineando l’importanza di difendere le proprie radici culturali e la propria identità, che non sono sempre così lontane come sembrano.